Pilastri dell’Unione europea
Pilastri dell’Unione europea art. 1 Trattato sull’Unione europea
Espressione comunemente usata nel gergo comunitario per descrivere la struttura tripolare dell’Unione europea (v.) così come delineata dal Trattato di Maastricht (v.).
I tre pilastri che compongono il figurato tempio dell’Unione sono:
— la dimensione comunitaria, disciplinata dalle disposizioni contenute nei trattati istitutivi delle Comunità europee (v. Primo pilastro);
— la politica estera e di sicurezza comune (v. PESC) disciplinata dal titolo V del Trattato sull’Unione europea (v. Secondo pilastro);
— la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (v. CGAI) contemplata dal titolo VI del Trattato sull’Unione europea, divenuta, in seguito alle modifiche introdotte dal Trattato di Amsterdam (v.), cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (v.) e che costituisce attualmente il terzo pilastro (v.) dell’Unione.
La struttura a tempio è il risultato di un compromesso faticosamente raggiunto fra le volontà contrapposte degli Stati membri al momento della firma del Trattato di Maastricht. In quell’occasione alcuni Stati, temendo che una netta separazione potesse provocare la disgregazione della costruzione europea, propendevano per l’inserimento delle tre colonne in un testo giuridico unitario, assimilando di fatto le nuove politiche a quelle già previste dai trattati originari. Altri sostenevano invece la necessità di salvaguardare il potere decisionale degli Stati membri nei settori della politica estera nonché degli affari interni e della giustizia. Il risultato finale fu questa anomala struttura che attribuisce alle diverse istituzioni ruoli diversi a seconda del pilastro in cui operano (v. Contesto istituzionale unico)
La principale differenza tra i tre pilastri è data dal fatto che per le politiche avviate nell’ambito del primo pilastro si applica il cd. metodo comunitario (v.), che marginalizza il ruolo dei governi nazionali a favore delle istituzioni comunitarie. I governi degli Stati membri infatti possono intervenire soltanto nelle forme e secondo le procedure previste dai trattati, bilanciando il loro ruolo con quello delle altre istituzioni; ciò vuol dire, ad esempio, che nessun atto può essere adottato nell’ambito del primo pilastro dal >Consiglio dell’Unione (v.), istituzione che più direttamente rappresenta gli interessi degli Stati membri, senza la preventiva iniziativa legislativa (v.) della Commissione delle Comunità europee (v.); com’è noto i trattati istitutivi riservano l’iniziativa legislativa alla sola Commissione che esercita in tal modo una sorta di controllo a priori sull’attività legislativa comunitaria.
La collaborazione nell’ambito degli altri due pilastri è, invece, di carattere tipicamente intergovernativa (v. Cooperazione intergovernativa; Metodo intergovernativo), attribuendo tutto il potere decisionale agli Stati membri. Gli strumenti tipici della cooperazione nell’ambito del secondo e del terzo pilastro sono i principi e gli orientamenti generali (v.), le strategie comuni (v.), le azioni comuni (v.), le posizioni comuni (v.), la cooperazione sistematica (v.), le decisioni-quadro (v.) e le decisioni (v.), tutti scarsamente vincolanti per gli Stati membri e comunque quasi sempre adottabili soltanto all’unanimità (v.). L’unico atto veramente vincolante, previsto soltanto nell’ambito della cooperazione del terzo pilastro, è la convenzione internazionale che però impegna lo Stato soltanto nel momento in cui ha ricevuto la ratifica (v.); non a caso quasi tutte le convenzioni elaborate sulla base della cooperazione in materia di giustizia e affari interni non sono ancora entrate in vigore.
Per quanto riguarda il terzo pilastro è da sottolineare che il Trattato di Maastricht ha anche previsto la possibilità di trasferire alcune politiche avviate in questo settore nell’ambito del primo pilastro, avvalendosi della cd. passerella comunitaria (v.) e procedendo ad una comunitarizzazione (v.) della relativa disciplina. Tale facoltà è stata già sfruttata in occasione della firma del Trattato di Amsterdam che ha provveduto alla comunitarizzazione delle disposizioni in materia di asilo, visti, immigrazione e cooperazione doganale.
Espressione comunemente usata nel gergo comunitario per descrivere la struttura tripolare dell’Unione europea (v.) così come delineata dal Trattato di Maastricht (v.).
I tre pilastri che compongono il figurato tempio dell’Unione sono:
— la dimensione comunitaria, disciplinata dalle disposizioni contenute nei trattati istitutivi delle Comunità europee (v. Primo pilastro);
— la politica estera e di sicurezza comune (v. PESC) disciplinata dal titolo V del Trattato sull’Unione europea (v. Secondo pilastro);
— la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (v. CGAI) contemplata dal titolo VI del Trattato sull’Unione europea, divenuta, in seguito alle modifiche introdotte dal Trattato di Amsterdam (v.), cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (v.) e che costituisce attualmente il terzo pilastro (v.) dell’Unione.
La struttura a tempio è il risultato di un compromesso faticosamente raggiunto fra le volontà contrapposte degli Stati membri al momento della firma del Trattato di Maastricht. In quell’occasione alcuni Stati, temendo che una netta separazione potesse provocare la disgregazione della costruzione europea, propendevano per l’inserimento delle tre colonne in un testo giuridico unitario, assimilando di fatto le nuove politiche a quelle già previste dai trattati originari. Altri sostenevano invece la necessità di salvaguardare il potere decisionale degli Stati membri nei settori della politica estera nonché degli affari interni e della giustizia. Il risultato finale fu questa anomala struttura che attribuisce alle diverse istituzioni ruoli diversi a seconda del pilastro in cui operano (v. Contesto istituzionale unico)
La principale differenza tra i tre pilastri è data dal fatto che per le politiche avviate nell’ambito del primo pilastro si applica il cd. metodo comunitario (v.), che marginalizza il ruolo dei governi nazionali a favore delle istituzioni comunitarie. I governi degli Stati membri infatti possono intervenire soltanto nelle forme e secondo le procedure previste dai trattati, bilanciando il loro ruolo con quello delle altre istituzioni; ciò vuol dire, ad esempio, che nessun atto può essere adottato nell’ambito del primo pilastro dal >Consiglio dell’Unione (v.), istituzione che più direttamente rappresenta gli interessi degli Stati membri, senza la preventiva iniziativa legislativa (v.) della Commissione delle Comunità europee (v.); com’è noto i trattati istitutivi riservano l’iniziativa legislativa alla sola Commissione che esercita in tal modo una sorta di controllo a priori sull’attività legislativa comunitaria.
La collaborazione nell’ambito degli altri due pilastri è, invece, di carattere tipicamente intergovernativa (v. Cooperazione intergovernativa; Metodo intergovernativo), attribuendo tutto il potere decisionale agli Stati membri. Gli strumenti tipici della cooperazione nell’ambito del secondo e del terzo pilastro sono i principi e gli orientamenti generali (v.), le strategie comuni (v.), le azioni comuni (v.), le posizioni comuni (v.), la cooperazione sistematica (v.), le decisioni-quadro (v.) e le decisioni (v.), tutti scarsamente vincolanti per gli Stati membri e comunque quasi sempre adottabili soltanto all’unanimità (v.). L’unico atto veramente vincolante, previsto soltanto nell’ambito della cooperazione del terzo pilastro, è la convenzione internazionale che però impegna lo Stato soltanto nel momento in cui ha ricevuto la ratifica (v.); non a caso quasi tutte le convenzioni elaborate sulla base della cooperazione in materia di giustizia e affari interni non sono ancora entrate in vigore.
Per quanto riguarda il terzo pilastro è da sottolineare che il Trattato di Maastricht ha anche previsto la possibilità di trasferire alcune politiche avviate in questo settore nell’ambito del primo pilastro, avvalendosi della cd. passerella comunitaria (v.) e procedendo ad una comunitarizzazione (v.) della relativa disciplina. Tale facoltà è stata già sfruttata in occasione della firma del Trattato di Amsterdam che ha provveduto alla comunitarizzazione delle disposizioni in materia di asilo, visti, immigrazione e cooperazione doganale.